
Gabriel Garcia Márquez e il suo realismo magico sono giustamente celebri, e non solo tra gli addetti ai lavori. Lo stesso vale per i suoi romanzi, come «Cent’anni di solitudine», «Cronaca di una morte annunciata» e «L’amore ai tempi del colera». Meno nota è «La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata» (1972; titolo originale: «La increíble y triste historia de la cándida Eréndira y de su abuela desalmada»), una raccolta di sette racconti brevi (tranne l’ultimo, quello eponimo). È l’opera successiva a «Cent’anni di solitudine» (1967), che aveva dato fama mondiale a Márquez, insignito poi del Nobel nel 1982. La raccolta costituisce nella sua produzione un momento di passaggio, all’insegna di una ricerca contenutistica e stilistica che permetterà prove letterarie nuove, atte a rinnovare quel realismo magico che fondeva immaginazione e realtà sociale, vicende singole dei protagonisti e circolarità del tempo. È un’opera minore, ma non è priva di pregio ed è utile a chi voglia avere un quadro completo della sua produzione, o che, al contrario, voglia entrare in contatto con un testo propedeutico ai suoi romanzi più complessi. Per di più, Márquez scrisse alcuni testi della raccolta pensando a un libro per ragazzi (ed è per questo che troviamo molta più magia che negli altri suoi libri), finalità ben presto accantonata. I testi sono molto brevi (a parte quello di Eréndira) e, come accade in questi casi, non lasciano spazio a descrizioni o ad approfondite analisi psicologiche dei personaggi.
Questo l’elenco dei racconti con a fianco la data di composizione:
- Un signore molto vecchio con due ali enormi (1968)
- Il mare del tempo perduto (1961)
- L’annegato più bello del mondo (1968)
- Morte costante al di là dell’amore (1970)
- L’ultimo viaggio della nave fantasma (1968)
- Blacamán il buono, venditore di miracoli (1968)
- La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata (1972)

Il Caffè Letterario di Zurigo, nel corso del suo ventiduesimo incontro, si è appunto occupato di questa raccolta, che ha incontrato il gradimento di quasi tutti i presenti. Sono testi che mettono in risalto la povertà della popolazione caraibica, la durezza della natura (per esempio del mare, protagonista nei primi cinque racconti) e dei rapporti sociali, in cui prevalgono l’interesse, il potere e la violenza. Impiegando la leva del paradosso e dell’irrealtà che innesca gli avvenimenti “tristi e incredibili”, l’autore racconta vicende prive di un lieto fine, che ciò nonostante non hanno un effetto deprimente, ma esaltante e favorevole alla riflessione. Almeno questo è emerso durante la discussione nel gruppo durante l’incontro. Márquez, rispondendo ai critici che dopo «Cent’anni di solitudine» lo avevano rimproverato di vedere i problemi dell’America Latina con gli occhi degli stessi conquistadores, ci offre dal punto di vista dell’osservatore immerso in questa realtà uno spaccato impietoso e veritiero della vita dei villaggi della costa e del deserto, con personaggi imbruttiti nell’anima dalle dure condizioni in cui vivono: una vera e propria miseria, materiale e morale. Ecco dunque i maltrattamenti inflitti all’angelo caduto dal cielo – il signore molto vecchio con due ali enormi del primo racconto – sfruttato per guadagno e poi abbandonato da tutti, finché non spiccherà il volo. La ricerca del profitto caratterizza il gringo Herbert nel secondo racconto, mentre la vendetta di Blacamàn il Buono, nel sesto, è crudele quanto le torture da lui subite ad opera del suo antagonista, Blacamàn il Cattivo. Per non parlare della perfida nonna snaturata dell’ultimo racconto… In tutte queste vicende il Tropico è narrato così come si mostra agli occhi dei suoi abitanti: marcio, maleodorante, dimenticato, succube del tempo e della morte, senza speranza di miglioramento (si pensi all’improvvisa fragranza di rose che nel secondo racconto pare annunciare non la felicità ma la morte; la bellezza di Esteban, l’annegato più bello del mondo, è sostanzialmente un morto che dovrà essere seppellito in mare; l’anziano politico in fin di vita del quarto racconto saprà convertirsi all’onestà rinunciando anche all’amore più grande della sua vita; la religione è ridotta a superstizione, la sessualità a prostituzione, vista probabilmente con occhi maschili).
Ma la malignità e la meschinità degli esseri umani, pervasi da incontrollabili pulsioni, si manifesta più compiutamente nel settimo e ultimo racconto. Miserabile è infatti soprattutto la nonna di Eréndira, fanciulla costretta prima a fare la serva, poi la prostituta per ripagare i costi di un incendio procurato inavvertitamente. La nonna è una donna desalmada, aggettivo tradotto in italiano con snaturata piuttosto che con senza anima. Il gruppo si è diviso in due parti uguali tra coloro che preferivano un termine all’altro: il personaggio è privo di una sua moralità, di una sua coscienza morale, è senz’anima; al tempo stesso, però, se pensiamo al ruolo educativo che la società riconosce alle nonne, è davvero snaturata (vocabolo che implica un giudizio morale). In ogni caso, Eréndira, passiva e rassegnata all’inizio, martire della volontà della nonna, sa riconoscere il Ulises l’amore, ma soprattutto prende coscienza della necessità della propria liberazione e per uccidere la nonna sfrutta l’aiuto del ragazzo, che alla fine, tuttavia, lascerà. Correrà incontro a una libertà che non vuole confini o padroni. Un barlume di speranza in un mare di amarezza e di miseria.
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2 pensieri su “STORIE INCREDIBILI E TRISTI AL XXII INCONTRO DEL CAFFÈ LETTERARIO DI ZURIGO (Punto de Encuentro, 16 dicembre 2022).”