Ma come si può parlare di ironia intenzionale
dell’Ariosto? dell’Ariosto che al personaggio di
Carlomagno mortificato dalla famigliarità birichina dei
piazzaiuoli di Firenze restituì la maestà d’imperatore e il
contegno d’eroe? dell’Ariosto che d’Astolfo fatto
buffone dal Boiardo rifece un cavaliere d’avventure e
miracoli, pronto a tutto affrontare, le porte dell’inferno
come quelle del paradiso, con una seria audacia inglese,
che lo fa degno d’essere l’istrumento della provvidenza
alla salute d’Orlando? dell’Ariosto che in Orlando il
peccato dell’amore, peccato per l’eroe e pe ’l cristiano,
punisce con la terribil pazzia? E come si può parlare
d’ironia continua e finale dinanzi alla terribilità tragica
di quella pazzia in quella più che descrizione e narrazione epica,
la quale dalla minuta e fedele
osservazione dei succedentisi momenti psicologici va a
passo a passo crescendo vorticosa e vertiginosa e finisce
in uno scoppio titanico?
Giosue Carducci, Su l’Orlando Furioso.
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