
Sono in piedi sulla carrozza rossa del treno che è abbandonata accanto alla stalla. Si alza il vento. I capelli mi frustano la faccia e sento un brivido freddo nel colletto aperto della camicia. I venti sono forti da queste parti, sembrano il respiro stesso della montagna. Più in basso la valle è tranquilla, impassibile. Ma la nostra fattoria danza: le pesanti conifere ondeggiano piano, mentre l’artemisia e i cardi selvatici tremolano e s’inchinano a ogni raffica o vuoto d’aria. Dietro di me si alza una piccola collina che va a cucirsi alle pendici della montagna. Se guardo in alto posso vedere la sagoma scura della Principessa Indiana.
La collina è un manto di grano selvatico. Se le conifere e l’artemisia sono solisti, il campo di grano è un corpo di ballo: ciascun gambo segue gli altri in slanci improvvisi, come un milione di ballerine che si piegano una dopo l’altra quando le forti raffiche investono le loro teste dorate. La forma di questo solco dura solo un istante, e allora si ha l’impressione di poter vedere il vento.
Girandomi verso casa nostra, sulla collina, vedo dei movimenti diversi, alte ombre che lottano contro le correnti. I miei fratelli sono svegli e stanno testando le condizioni del tempo. M’immagino mia madre ai fornelli, alle prese coi suoi pancake di crusca. Mio padre sarà curvo vicino alla porta sul retro ad allacciarsi gli scarponi dalla punta d’acciaio e a infilare le mani callose dentro i guanti da saldatore. Sulla statale di sotto, l’autobus della scuola corre senza fermarsi.
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Tara Westover, L’educazione