
Si può avere paura dei bambini, tanto da nasconderli ed escluderli dalla vita sociale? Sembra una provocazione, un’invenzione, ma non lo è. È realtà storica elvetica, certo poco gloriosa: sono i bambini nascosti, o proibiti, ben 15000 figli di immigrati italiani stagionali, tenuti come clandestini, perché la legge vietava loro il ricongiungimento familiare. Dovevano rimanere invisibili e potevano essere espulsi da un momento all’altro. Questa vicenda è riemersa ultimamente grazie soprattutto ai libri di alcuni scrittori di lingua italiana. Nicoletta Bortolotti, nata in Canton Ticino ma residente a Milano, è uno di questi lodevoli autori; il romanzo presentato e discusso dal Caffè Letterario di Zurigo, «Chiamami sottovoce» (Harper Collins Italia, 2018), è suo. Famosa per i suoi libri per ragazzi, scrittrice e redattrice presso una importante casa editrice, ha vinto numerosi premi letterari.
Nicole, la protagonista, ha conosciuto in passato uno di questi bambini nascosti, Michele, figlio di immigrati italiani che hanno voluto portarlo con loro nonostante il divieto. Suo padre ha lavorato alla galleria del San Gottardo, mentre Nicole è figlia di un ingegnere, suo capo. La vicenda che li ha fatti conoscere si è svolta ad Airolo nel 1976 e viene rievocata dalla protagonista nel 2009, con sprazzi di memoria e con ricordi che “chiamano sottovoce”… Le loro vite si sono intersecate casualmente in quell’anno lontano, da ragazzi, intorno alla casa di lei, con disegni e passeggiate all’aperto. La narrazione alterna capitoli dedicati a Nicole ad altri che sono di Michele: i primi raccontano fatti del 2009, gli altri rimandano al 1976. Michele è vissuto nascosto nella soffitta della casa dell’affittacamere Delia, donna che ha vissuto un idillio amoroso finito tragicamente. Ormai adulti, Nicole e Michele si incontrano di nuovo e alla fine del romanzo, al capezzale di Delia, scoprono in che modo e da chi lui è stato denunciato alla polizia svizzera.
«Chiamami sottovoce» è un romanzo scritto con leggerezza, con uno stile medio, con atmosfere placide, soffuse, nostalgiche. Sfiora i grandi problemi della società e dell’uomo, navigando a pelo d’acqua con toni poetici, quasi fiabeschi. Riporta i colori, gli odori e i suoni della natura che circonda i due ragazzi, interpretando il loro punto di vista, mentre nel frattempo apre varchi alle domande sulla vita, sulla libertà, sull’amore e sugli uomini, come se gettasse sassolini in un pozzo.

La scrittrice, sollecitata da una precisa domanda, ha spiegato i motivi della sua originale e forse artificiosa tecnica narrativa, con lo sdoppiamento e l’alternanza dell’io narrante in prima persona, capitolo per capitolo. La scrittrice si riconosce in uno stile piano, quel tono che lei stessa predilige come lettrice e a cui non vuole rinunciare, per cui, di fronte a una trama complessa e stratificata, per nulla lineare, come quella di «Chiamami sottovoce», ha voluto adeguare la sua tecnica, non la sua lingua, alla materia narrata (anche se il focus sui due personaggi, così differenti tra loro, l’ha indotta a registri linguistici diversi). Provando a raccontare nel modo solito, avrebbe dovuto gestire una situazione difficile, aprendo e chiudendo storie, proponendo tempi diversi contemporaneamente, illustrando il contesto storico, e così via. Per evitare complicazioni del genere, ha dunque preferito una narrazione eterogenea, apparentemente frammentaria. Lo stesso personaggio di Delia Pizzorno, così importante nella trama, ha comunque richiesto un modo diverso di raccontare, più distaccato, con inserti in terza persona (e scritti in corsivo) che davano senso al quadro generale degli avvenimenti. Infine, una tecnica narrativa così particolare si è rivelata più funzionale a significati più profondi di quelli veicolati dai libri per ragazzi, genere nel quale l’autrice si era cimentata fino ad allora.
Si è poi passati a un dibattito più articolato, che ha avuto come oggetto la ricezione del libro, la sua accoglienza e, in generale, il caso dei bambini nascosti nell’ambito dell’immigrazione italiana in Svizzera.
Per Nicoletta Bortolotti non è stato facile trovare una casa editrice in Italia (e il titolo inizialmente proposto, «La casa delle rose inquiete», non è stato accettato), ma il libro ha avuto una buona accoglienza e i lettori non sono mancati. Riguardo al tema, nonostante un documentario su Rai3, a cui ha collaborato la stessa Bortolotti, se n’è dapprima parlato abbastanza, ma poi il dibattito si è spento e ha vinto l’indifferenza. Gli ex-bambini nascosti sono rimasti silenziosi, adulti che nessuno vuole ascoltare. Perché un tale rifiuto? Probabilmente gli italiani non vogliono fare i conti con un passato, quello di popolo migratorio, che cercano di rimuovere. Si percepiscono prevalentemente come paese d’immigrazione, e poco importa che abbiano torto. Per la scrittrice, invece, questa realtà, in cui i bambini appartengono a due mondi in conflitto tra loro, va discussa e analizzata adeguatamente e il suo libro infatti cerca di farlo, illustrando un dolore italiano visto da un’ottica svizzera. Questi problemi, del resto, la coinvolgono personalmente, in quanto lei stessa vive tra due culture e tra due nazioni diverse. Anche a livello di lingua, nonostante le affinità tra le due parlate, “sente” un certo distacco tra il dialetto milanese che l’attornia e il suo originario idioma ticinese. Nel romanzo un personaggio fa notare a Nicole proprio questa differenza espressiva, anche se solo di accento, e la narratrice (Nicole) riflette sull’importanza delle radici, che sono ingombranti e che non ci permettono di reinventarci. Al tempo stesso, la protagonista non esita a dichiarare in un altro momento del racconto che le persone diventano la terra che abitano: una contraddizione insanabile, che soltanto chi emigra può intendere in pieno.
La Svizzera è molto sensibile a questa problematica. Un anno fa a Sciaffusa è stato presentato «Chiamami sottovoce» alla presenza della stessa Bortolotti, del circolo italiano organizzatore (tra cui Giuseppe Pietramale, anch’egli iscritto al Caffè Letterario) e delle autorità cittadine: la serata è stata un indubbio successo, soprattutto quando due invitati hanno rivelato di essere stati loro stessi dei bambini nascosti e hanno raccontato le loro drammatiche vicende. Un mese dopo a Zurigo sono stati presentati tre libri dedicati al tema dei bambini nascosti, tra cui quello della Bortolotti, davanti a un folto pubblico. Più in generale, gli emigrati italiani in Svizzera, arrivati già alla terza generazione, hanno vissuto in prima persona il dramma di chi non vorrebbe smarrire le proprie radici ma che, pur non sentendosi del tutto accettato, deve contemporaneamente adeguarsi alla società ospitante e raggiungere un buon grado di integrazione. In ogni caso, la sfida oggi può dirsi in gran parte vinta, la comunità italiana in Svizzera ha saputo farsi accettare ed è riuscita a promuovere la propria cultura d’origine in terra elvetica.
Nella parte finale della serata Nicoletta Bortolotti ha informato il gruppo sulla sua attività più o meno recente. Essere stata editor, o meglio redattrice, per una nota casa editrice le ha permesso di acquisire una sempre maggiore dimestichezza con la lingua e con lo stile degli scrittori, e ha potuto ricevere un’influenza così positiva da essere fonte di continua ispirazione. Ultimamente è stato ripubblicato «E qualcosa rimane» (prima edizione: Sperling & Kupfer, 2012) ed è uscito «Disegnavo pappagalli verdi alla fermata del metrò. La storia di Ahmed Malis» (Giunti, settembre 2020). Si veda a questo proposito nella sitografia l’intervista rilasciata da Nicoletta Bortolotti alla Rete Due della televisione della Svizzera italiana.
L’incontro si è chiuso nella soddisfazione generale, grazie alla buona partecipazione dei presenti e alla disponibilità della scrittrice.
Il prossimo incontro con un autore avrà luogo il 4 febbraio 2021, ancora con zoom.us, con Gerardo Passannante e il romanzo «Costantino. L’infante di Naissus» (il seme bianco, 2020).
BREVE SITOGRAFIA
https://www.ibs.it/chiamami-sottovoce-libro-nicoletta-bortolotti/e/9788869053122

1 pensiero su “IL CAFFÈ LETTERARIO DI ZURIGO E NICOLETTA BORTOLOTTI, MEETING DIGITALE DEL 12 NOVEMBRE 2020 (a cura di Vittorio Panicara).”