Ormai è quasi un mese che siamo in quarantena e, riflettendoci, credo che questa condizione metta a dura prova la nostra identità: da qui l’angoscia in cui viviamo in questi giorni. Sì, perché, cosa siamo senza il nostro lavoro? Cosa ne è della nostra dimensione sociale, senza i colleghi e gli amici? Cosa ne è della nostra dimensione culturale e spirituale se non possiamo muoverci liberamente nel mondo? Il mondo globalizzato ci ha dato un’identità di cui oggi siamo privi.
Proprio per questa ragione, ho deciso di riprendere in mano un autore che ha fatto della riflessione sull’identità uno dei suoi temi più importanti: Luigi Pirandello. Luigi Pirandello nasce ad Agrigento nel 1867, vince il Premio Nobel per la letteratura nel 1934 e muore a Roma nel 1936. La sua produzione letteraria è divisa in due periodi. La prima parte, quella precedente lo scoppio della Grande Guerra, lo vede scrittore di narrativa e poesia; nella seconda parte, invece, si dedica maggiormente al teatro. Da siciliano, egli incarna perfettamente l’isolano che aspira a diventare un intellettuale europeo; tuttavia, la fama è lenta ad arrivare, e Pirandello dovrà aspettare la pubblicazione de Il fu Mattia Pascal per uscire veramente dall’anonimato anche a livello internazionale.
Il fu Mattia Pascal esce nel 1904, un periodo non facile per l’autore, sia dal punto di vista personale che finanziario. In questa, come in altre opere successive, viene rappresentato il conflitto paradossale tra l’individuo e la società, attraverso una riflessione di carattere universale sul curioso “caso del Fu Mattia Pascal”. Chi è, o meglio, chi era Mattia Pascal? Si tratta di un piccolo borghese intrappolato in una condizione complessa nella quale trovano posto la moglie distrutta da una gravidanza finita male; un lavoro che non solo non lo arricchisce, ma nemmeno gli fornisce stimoli o soddisfazioni; e, infine, una suocera che lo detesta. Si tratta di una situazione nella quale Pirandello riflette il dramma della propria vicenda famigliare, costellata di tragedie: come la malattia mentale della moglie, che verrà in seguito internata, e il tracollo finanziario, dovuto ad una frana nella miniera di zolfo che aveva ereditato dal padre.
La vicenda inizia con la grave scissione che si crea, all’interno della sua identità, tra il modo in cui Mattia Pascal percepisce se stesso e l’inettitudine che gli attribuiscono gli altri. Ciò lo porta a fuggire a Montecarlo, dove, neanche a volerlo, vince un’ingente somma di denaro. Nel frattempo, nel suo paese trovano un cadavere che viene riconosciuto dalla moglie e dalla suocera come il suo. Mattia Pascal coglie allora la palla al balzo e decide di ribellarsi alle strutture sociali prestabilite (la famiglia, gli obblighi, il lavoro), da lui viste come trappole che alienano l’individuo, e cambi identità. Si trasformerà così in un elegante intellettuale che vive a Roma, in una camera presa in affitto da una famiglia che si rivelerà piuttosto problematica.
Il momento idilliaco della nuova vita, tuttavia, dura poco, perché il protagonista si rende subito conto dell’impossibilità concreta di vivere al di fuori della società, senza documenti, senza statuto di cittadino e con un nome fittizio che non vale nulla, perché questa condizione gli impedisce di denunciare un furto subito o di sposare la donna che ama. La ribellione del fu Mattia Pascal si rivela così come una pia illusione, un fallimento, perché, come ci mostra con maestria di Pirandello, la società sarà anche una trappola, ma fuori da questa trappola esistono solo l’anarchia e il nulla! Il protagonista vive da allora in uno stato di perenne angoscia esistenziale, sapientemente resa tramite monologhi interiori che sono già prefigurazione dello stile teatrale che contraddistinguerà la seconda parte dell’attività letteraria dell’artista siciliano.
La narrazione si conclude con un tentativo, da parte del protagonista, di rientrare nella società, tornando a casa per dimostrare che non suo era il cadavere ritrovato tempo addietro. Questa decisione però potrebbe avere dei risvolti catastrofici, perché intanto la vita è andata avanti e la moglie si è risposata. Anche rientrare nella macchina oscura e alienatrice della convenzionalità si rivela quindi un sentiero impraticabile e il fu Mattia Pascal è obbligato a restarne fuori, poiché non se la sente di rovinare la stabilità che la moglie si è ricreata. Decide così di vivere quanto gli resta ai margini della società, privo di una vera identità, con lo stesso sorriso che troviamo sul volto, ormai ahimè anonimo, di Mattia Pascal che va a visitare la sua stessa tomba.
Questa singolare vicenda mette in scena tutta l’angoscia provocata dall’alienazione prodotta dal progresso, dalla velocità dell’esistenza (la stessa velocità con la quale la moglie è stata in grado di rifarsi, lei sì, una vita) e dall’inarrestabilità del mutamento. L’identità del protagonista è costantemente messa in discussione, senza che si possa trovare una soluzione o uno scioglimento positivo. Si noti qui come Pirandello anticipi in maniera incredibile il tema della crisi dell’uomo tanto cara alla letteratura europea successiva, da Musil a Kafka, a Joyce, ma anche approfondita nella produzione teatrale coeva grazie ad autori quali Ibsen e Cechov. Una crisi che non investe solo l’individuo, ma la società stessa. Mattia Pascal è infatti il simbolo del declino di una borghesia che sperava di trovare la propria identità e il proprio successo nel denaro (come Pascal dopo la vincita a Montecarlo), ma che fatalmente si rende conto di come questo non sia possibile.
Mentre annuncia i nuovi tempi, Il fu mattia Pascal segna però anche la fine del romanzo ottocentesco nella sua forma classica, e questo per due ragioni. Se il lettore aveva precedentemente a che fare con romanzi di formazione, nei quali il protagonista, dopo una serie di prove, riusciva a costruire o a ritrovare la propria identità, nel romanzo pirandelliano il protagonista perde del tutto la sua identità e continua a sopravvivere in una dimensione alienata per il resto dei suoi giorni. Inoltre, mentre la tradizione precedente, valorizzava la vita familiare, in quest’opera la famiglia viene vissuta dal protagonista come una prigione dalla quale scappare.
In conclusione, Il fu Mattia Pascal è un romanzo incredibilmente moderno, per la sua capacità di sovrapporre l’umorismo amaro all’angoscia con la quale il lettore è confrontato durante tutta la narrazione. Ma se è vero che il lettore fa fatica ad empatizzare con il protagonista, per via dell’inverosimiglianza della storia, è proprio la forte carica intellettualistica a caratterizzare i romanzi novecenteschi che mirano a farci riflettere più che a farci sognare. Ed è per questa ragione che ve ne consiglio davvero la lettura, che non è un invito a evadere dalla realtà, ma ad esercitare la riflessione su noi stessi, su cosa ci definisce e sul perché, certe volte, ci sentiamo schiacciati dal mondo che ci circonda.
L’ha ripubblicato su l'eta' della innocenza.
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