Il «New York Times» su Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood: “Ma la più grande mancanza, rispetto ai classici del genere distopico, e l’incapacità di immaginare un linguaggio che corrisponda al nuovo volto della vita sociale. Nessuna neolingua. E niente di comparabile al tour de force linguistico di arancia meccanica – la fusione brutale dell’inglese corrente e delle parole slave che giada si racconta la storia di questa nuova terribile razza. La scrittura del racconto dell’ancella è indistinguibile in due sensi, e ordinaria se non palese, ma hai anche indistinguibile da quella che si suppone sia la normale forma espressiva di Margaret Atwood. È un serio difetto, forse imperdonabile per questo genere letterario: un futuro senza un linguaggio inventato non ha personalità. Deve essere questo il motivo per cui, nel complesso, e debole da far paura”.