Come annunciato, prosegue la compilazione di saggi critici, prefazioni, introduzioni e commenti vari alle opere di Gerardo Passannante. Ora è la volta di «Avvisaglie d’uragano», dato alle stampe presso Città del Sole Edizioni nel 2014. È il primo volume di un ampio romanzo storico, arrivato un anno fa già al terzo degli almeno dieci volumi previsti. Prossimamente pubblicheremo altri contributi critici relativi agli altri due volumi.
Per chi voglia leggere il riassunto e qualche pagina di «Avvisaglie d’uragano» consigliamo il sito Frammenti riflessi:
https://frammentiriflessi.wordpress.com/prosa/tomo-i-3/
Il declino e la caduta di un impero non sono mai frutto del caso, ma della concomitanza di più circostanze che, talvolta, si combinano in blocco. Narratore appassionato di un periodo storico fondamentale per l’Occidente, quello che, nel IV secolo d.C., segnò il passaggio dalla tetrarchia pagana fondata da Diocleziano al cesaropapismo cristiano di Costantino il Grande, Gerardo Passannante affronta una sfida complessa e difficile senza mai cadere nell’astruso o, all’opposto, nel prevedibile.
Il Declino degli dèi prende le mosse dal fulmine che, nell’anno domini 283, incenerisce la tenda dell’imperatore Caro, spianando la via all’irresistibile carriera di un generale illirico al quale una druidessa aveva profetizzato un destino glorioso. Passerà alla storia con il nome di Diocleziano, e riuscirà ad imbalsamare per un ventennio un impero ormai disgregato e decomposto, ideando una nuova forma di governo, la tetrarchia. Passannante, capace di padroneggiare un intreccio romanzesco assai complicato grazie a una prosa elegante e raffinata, si addentra nella psicologia dei personaggi storici con una sonda di netta impronta junghiana: scava dentro di loro per coglierne i più segreti impulsi interiori, ne mette a nudo le sofferenze e le contraddizioni, ne incornicia le vicende in un’epoca di mutamenti traumatici, di sanguinosi intrighi, di implacabile resa dei conti fra una cultura ormai esausta e svuotata – quella degli dèi pagani declinanti, appunto – ed un’altra emergente e rivoluzionaria, quella cristiana del dio unico incarnato in terra da un Messia morto sulla croce per aver predicato la fratellanza universale. Una commedia del Potere, dove si agitano sulla scena maschere ora tragiche ora grottesche:
«Sollevato all’impero in un secolo di violenza, sono condannato a finire presto, e non mi importa. Quando poi sarò scomparso, vadano pure in malora insieme a Roma questi parassiti del senato, che, ingannati dalle loro pinguedini, ignorano la vanità del transitare. Sconoscono, essi, le immersioni nei rigurgiti dell’odio; sono ciechi al sopruso degli eventi: e perciò non intendono il significato della mia vendetta su quel mondo che ha violato la mia fanciullezza innocente».
Il monologo di Carino, giovane imperatore dissoluto che morirà pugnalato alle spalle da un tribuno al quale aveva stuprato e ucciso la sposa, appare fortemente emblematico di questa crudele introspezione che pervade tante pagine del romanzo di Passannante; mettendo anche a nudo, come un nervo scoperto, il profondo disagio di un autocrate ormai distante da qualsiasi affetto privato:
«Diocleziano sapeva bene, e l’aveva capito nel momento stesso in cui aveva rivisto Prisca, che a lui d’ora in poi i sentimenti più ordinari non appartenevano più, che la scalata all’impero gli aveva donato l’universo, ma gli aveva sottratto il minuscolo, immenso bene, degli affetti comuni». (…)
Dal punto di vista letterario, l’esperimento risulta assai stimolante: filosofia e religione, sviscerate in digressioni che immergono il lettore nella mentalità dell’epoca, costituiscono i due elementi essenziali di contorno della trama romanzesca. Una volta inquadrato lo sfondo su cui si muovono i personaggi, il lettore può utilizzare due chiavi interpretative: quella della Storia affabulata in romanzo, e quella del romanzo in cui s’innesta la realtà storica. Due aspetti che si compenetrano nel tessuto narrativo, come le due facce della medesima medaglia, ma che il lettore è in grado, volendo, di scorporare a proprio piacimento. La comprensione dei meccanismi, soprattutto psicologici, che minarono alla base il potere dei Cesari è fondamentale per intuire i significati che si annidano fra le pagine di Passannante, capaci di attrarre quanto di respingere chi ne sappia distillare l’essenza più autentica. Intellettualismo accademico? Niente affatto. L’autore si sofferma su aspetti sconosciuti e inediti di quel ciclo storico, inaugurato dall’ascesa al potere di Diocleziano e concluso dalla morte in battaglia di Giuliano, l’ultimo dei discendenti di Costantino il Grande. Otto decenni cruciali per la storia umana: e il primo atto di questa tragedia, a cui sicuramente avrebbe potuto ispirarsi Shakespeare, ne traccia i presupposti. (…)
Il Declino degli dèi è un caleidoscopio di sensazioni forti, carico di tensione morale e di conflitti emotivi, che rispecchia le convulsioni di una svolta epocale: le parole e il sangue affiorano da queste pagine coinvolgenti, dove la freddezza del cronista si surriscalda a tratti nel palpito violento del narratore di drammi individuali e collettivi, destinati a confluire nell’immenso magma della Storia umana.
Dalla Prefazione di Guglielmo Colombero: «Il primo atto di una grande tragedia storica».
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Il lettore di questo primo tomo del romanzo storico di Passannante, se ha seguito spontaneamente l’ottimo principio che le Introduzioni o le Prefazioni vanno consultate a conclusione del proprio personale piacere di lettura dell’opera letteraria, si sarà reso subito conto dell’estrema cura che l’autore ha portato nell’inquadrare i personaggi principali e, per usare un linguaggio teatrale, le semplici comparse nel loro ambiente storico, quello del mondo euro-mediterraneo della seconda metà del III secolo d.C., attentamente ricostruito. Personalmente ritengo che in un romanzo storico ciò che conta, ed è proprio ciò che caratterizza questa prima parte del racconto di Passannante, sia la credibilità dell’invenzione romanzesca, frutto esclusivo dell’autore, poiché egli solo costruisce e dà consistenza allo spessore psicologico dei personaggi principali. Non vi è dubbio che essi, almeno in questo primo tomo, siano costituiti da Diocleziano e dalla sua famiglia, rappresentata dalla moglie Prisca e dalla figlia Valeria. Le fonti storiche ci tramandano notizie sul destino, per così dire, politico, delle due personalità femminili, al quale non vogliamo accennare, per non togliere al lettore la sorpresa sugli esiti ulteriori delle vicende familiari dioclezianee, solo in parte desumibili nell’ultimo e, allo stato, decisivo scontro tra i due augusti coniugi, alla vigilia di una apparentemente inevitabile e definitiva rottura sentimentale, che si spinge fino alla scelta della lontananza voluta.
Il contesto storico in cui l’intreccio narrativo andava inserito è la riforma di Diocleziano, la cui radice è nella convinzione, storicamente ineccepibile, maturata dall’imperatore, come ha scritto Giuseppe Galasso, dell’impossibilità materiale e dell’inopportunità politica di mantenere in piedi il governo unitario dell’impero: (…)
Passannante mette sulla bocca di Diocleziano la tesi fondamentale che nella corrispondenza tra Plinio e Traiano venne avanzata, agli inizi del II secolo dell’era cristiana, su quale dovesse essere l’atteggiamento politico nei riguardi del cristianesimo: non esistendo nella legislazione romana il reato di cristianesimo, i cristiani andavano puniti anche con la morte quando, accusati da un cittadino (che ne assumeva la responsabilità fino alla ritorsione ai suoi danni anche della pena di morte, in caso di delazione infamante), negavano apertamente la divinità imperiale, rifiutando il sacrificio, cioè negavano il potere superiore dello Stato romano e la sua Fortuna storica, forma di religione civile che costituì, fin dal principato augusteo, il coibente della civilitas di quel popolo. Eppure, qualche anno dopo, e in questo caso non anticipo nulla al lettore sugli altri tomi, perché è vicenda assai nota, Diocleziano organizzò la prima grande persecuzione di Stato contro i cristiani. Personalmente, sono curioso di leggere, nei prossimi tomi di Passannante, come la sua immaginazione proporrà al lettore gli esiti interiori di una scelta, quella della persecuzione, che gli studiosi hanno inserito in un quadro d’insieme abbastanza definito.
Su un ultimo punto, mi permetto di intrattenere il cortese lettore. La mia formazione scientifica ha privilegiato e privilegia il tema della modernità, per cui, per mestiere, mi occupo di un’epoca assai più tarda di quella dioclezianea. A parte gli stimoli di un testo interessante, come ho cercato di spiegare in questo contributo, una cosa mi ha colpito particolarmente nel bel romanzo di Passannante: la sua attenzione al complessivo mondo euro-mediterraneo in cui si svolge la vicenda degli imperatori illirici. Il mondo persiano e quello armeno, in Asia minore; il mondo di Zenobia, novella Cleopatra, con il suo tentativo di ritagliarsi uno stato immenso tra Egitto, Arabia e Siria; la nuova dimensione balcanica dell’Impero dioclezianeo, vero crogiolo di popoli nuovi, con la sua ambizione di fondare una nuova città, Nicomedia, «a uguale distanza dal Danubio e dall’Eufrate». Quella di Diocleziano non sarà una nuova Roma, ma costituirà appunto il tramite essenziale dell’Impero romano con mondi in grande trasformazione, materiale e spirituale (tre secoli dopo, quel mondo, esprimerà l’Islam). Il nostro autore propone in maniera fuggevole le vicende dell’Europa centro-occidentale, Massimiano e la sua rozzezza politica sono emblematiche di questo mondo. L’unica eccezione è il terzo impero mancato della Britannia di Carausio. Viva è l’attenzione che Passannante volge su questa realtà che emerge da una dialettica di forze e intelligenze nuove, da abile romanziere-interprete capace di catturare la simpatia del lettore.
Dall’Introduzione «Annotazioni di uno storico» di Fausto Cozzetto.
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Passannante è molto attento alle diverse manifestazioni del sentimento. Sono veri capolavori le descrizioni del lento trasformarsi dei sentimenti familiari di Diocleziano, come dell’incipiente innamoramento di Valeria per Aurelio, con un sentimento costretto a maturare in fretta e a conoscere la necessità della rinuncia. Altrettanto felice la descrizione dell’attesa del piccolo Costantino, che si apposta sul tetto della casa materna per essere il primo a vedere il padre ritornare dalla guerra, nonché toccante il racconto dell’amicizia che sorge tra Aurelio e Costanzo Cloro, in una notte trascorsa per entrambi all’insegna di una pungente nostalgia. La trepida attesa con cui Valeria spera di incontrare Aurelio, lasciato da suo padre a vegliare sulla sicurezza sua e della madre Prisca, il carnale desiderio con cui Elena aspetta il rientro dello sposo Cloro, il ricordo di Aurelio della provocante moglie Lucrezia, mettono a confronto tipi diversi di donne. Nel loro cuore Passannante entra con la facilità di chi ha anche dedicato a questo tema un intero canzoniere.
Anche Diocleziano viene colto nella sua fragilità, quando si rende conto di non aver mai potuto godere della meravigliosa intimità che lega Prisca e la figlia Valeria, impedito a ciò dalle prolungate assenze o forse dal suo lento indurirsi, sottostando ai doveri imposti dal suo ruolo. Sembra di sentire la sua concitata risposta alla figlia Valeria che mette in dubbio l’amore paterno per la madre: «Ho sempre amato tua madre e la mia stessa rigidezza, o quella che a te sembra tale, ne è solo una tortuosa conseguenza». Sarà impossibile spiegare a una persona così giovane come l’allontanamento da Prisca per una nuova campagna contro i Sarmati possa essere una forma di amore, far comprendere come tutto nella vita è sottoposto a un incessante logoramento. La maledizione di Eraclito, il filosofo greco che mise in luce come tutto si trasforma, è ormai coscienza quotidiana per Diocleziano. L’imperatore, in un momento di introspezione, avverte chiaramente che «solo un pazzo come me può ancora serrare i denti e tentare di arrestare una fiumana che irrompe da ogni parte, caparbiamente inteso a rallentare lo sfascio, che comunque avverrà». A questa consapevolezza si aggiunge la chiara percezione della fine del rapporto coniugale con Prisca. Non vale a lenire la tristezza dirsi che poca cosa sono i dolori personali di fronte a quelli dello stato. L’ultimo colloquio con Prisca è talmente onesto da entrambe le parti da restituirci ancora una volta la grandezza del loro amore. Preso commiato per sempre da lei, non senza averle rinnovato il sentimento nutrito nei suoi riguardi, l’imperatore si mette in testa al suo esercito. Prisca, non meno affranta, percependo la gravità di quell’ultimo, irreversibile momento, lo associa alla perdita totale che avrebbe potuto derivarle dalla morte di Diocle in battaglia e non può che correre «nelle sue stanze per sciogliere i liberatori meccanismi del pianto».
Da « Le nuove istanze dell’Impero in crisi, la strenua, tragica difesa di Diocleziano per rimandarne l’inevitabile declino », di Stefania Ciavattini , direfarescrivere, anno XIII, n. 138, luglio 2017 (http://www.bottegaeditoriale.it/laculturaprobabilmente.asp?id=164).
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Breve informazione sugli autori/sulle autrici degli articoli.
Guglielmo Colombero: esperto di di letteratura e critica cinematografica, è scrittore e opera nel mondo dell’editoria e della comunicazione.
Fausto Cozzetto: professore associato di Storia Moderna presso l’Università della Calabria, è autore di molti saggi storici ed è giornalista pubblicista.
Stefania Ciavattini: è pedagogista e si occupa di recensioni letterarie.